I Social, una platea che ci ascolta

Che cosa ci spinge ogni giorno a mettere in piazza, a mostrare al pubblico le nostre idee, debolezze, fantasie, le frasi che ci colpiscono, il nostro ruolo in un ambito sociale o lavorativo, ciò che pensiamo, pezzi della nostra vita in immagini, suoni, testi?

L’ambiente social in cui si pubblicano i post, l’immensa e movimentata rete, sta diventando con l’abitudine e la quotidianità, quasi un ambiente tranquillo, familiare, intimo, che da’ ormai la sensazione  del privato, così com’è immerso nell’anonimato dell’infinita massa di post tali e quali ai nostri. I nostri amici non si offendono per ciò che scriviamo, ci danno consigli, ci dicono che a loro piace il nostro commento, che è bellissimo il tramonto che abbiamo pubblicato.

Così che ai nostri pensieri e alle nostre espressioni, che nel mondo reale risulterebbero inascoltati e indegni di qualsiasi commento, negativo o positivo, ed assolutamente inutili per il progresso della specie umana, vengono attibuiti riscontri e platee che altrimenti non avrebbero, vengono appagati da note positive nel mare dell’anonimato.

Intrinseco nel sistema dei social è che per ogni messaggio una sola tipologia di risposta è negativa, ed è l’esplicito e volontario commento di critica (nei vari gradi di espresso disaccordo, fino all’insulto), mentre ben tre possono ritenersi positive, e pertanto gratificanti: il commento esplicitamente positivo, il ‘MiPiaci’ ed anche l’indifferente mancanza di riscontro (paradigma zero).

Ed ecco che l’ego di uno scrivente insicuro o con bisogno di accettazione, può venire appagato e soddisfatto anche solo dal fatto di potersi esprimere,  senza ricevere commenti negativi, oltre ai pochi commenti di coloro che si prendono la briga di cliccare il mipiaci o scrivere un “evviva, che bella cosa!”.

Prendiamo l’esperimento di colui che per 24 ore decise di dare espressione su FB del suo pensiero, commentando come realmente sentiva i post di amici su Facebook: ebbene ne ha persi molti di amici….

Furbetti, prego, accomodarsi altrove!

Ci piace lavorare.
Parlo a nome di miei colleghi e di tutti quelli che non si tirano indietro: rispondi al telefono, scrivi l’email, trova soluzioni, ingegnati. Non ci si annoia, e si torna a casa contenti.

Ci piace lavorare insieme.
Siamo soddisfatti quando portiamo a termine una telefonata col sorriso, con una battuta, quando ai DUE capi del telefono ci sono persone che interagiscono e cercano di capirsi.

Ci piace che ci cerchino per nome.
Anche se i numeri aumentano ed è sempre più difficile  🙂  , da’ soddisfazione ricordare i nomi e sapere già di che cosa c’è bisogno.

Ci piace lavorare in modo sereno, con reciproca fiducia e stima, collaborando. Basta poco.

Non ci piacciono i furbetti, a tutti i livelli.

Il furbetto succhia le energie buone del nostro lavoro, come un parassita.
Il furbetto non porta crescita, solo gratuite perdite di tempo.

Il nostro tempo, vorremmo impiegarlo per costruire qualcosa

Flessibilità del lavoro, viva le quote rosazzurre

Seguo spesso interventi e articoli sull’incompatibilità tra lavoro e famiglia, ove ancora troppo spesso sono le donne che lasciano dietro le quinte la propria professionalità, perché risulta impossibile conciliare i tempi e le modalità del lavoro con una realtà familiare che non può fare a meno di loro, e a cui, soprattutto, loro non sono disposte a rinunciare facilmente.

Di recenWhy women still can't have it allte il Wall Street Journal riporta dell’inversione di rotta di nota società di consulenza (non italiana, ovviamente!) nel trend di riassunzioni di quelle mamme-consulenti che avevano scelto la famiglia e rinunciato al lavoro. L’azienda intende andare in controtendenza con un programma per contrastare la perdita di investimento su quel capitale umano perduto.

Al contrario, nel nostro paese, la fuga di “cervelli femminili” verso la famiglia è tutt’ora, un trend che non sembra trovare alcuna inversione di direzione nelle aziende, la cui organizzazione maschiocentrica ritiene tutt’ora come valore positivo la presenza fissa in azienda, per le molte ore che i colleghi uomini possono più facilmente offrire, e con una valutazione economica differente. Il mondo femminile si piega così molto più spesso alle difficoltà logistiche e di cura parentale che l’antagonismo ‘lavoro VS famiglia’ impone.

Si inneggia allora ad una maggiore flessibilità di orario, telelavoro, e soluzioni più family-friendly e mobili per le donne.

…ma perché solo per le donne?

La flessibilità solo per le donne, è comunque una sconfitta. Le quote rosa sono comunque un contentino.
Il valore positivo rimane sempre e comunque la “fissità”. Organizzazione e controllo rimangono con Lui in ufficio.
Le facilitazioni riducono le mamme a un potere “part-time”, secondario.

Quanti passi in avanti potremmo fare se anche gli uomini fossero inclusi in un moto di rinascita verso la flessibilità, così che la presenza in azienda non sia più per nessuno un valore assoluto e positivo? Se anche gli uomini fruissero di un modello lavorativo più vicino alla famiglia, non pensate che potrebbe crescere il loro senso di responsabilità, comprensione e scambio reciproco con la propria compagna a tutti i livelli?

Quanto del vostro lavoro di ufficio potrebbe essere svolto fuori dall’ufficio, quante ore settimanali dedicate ai trasferimenti si potrebbero eliminare. Se entrambi, mamma e papà, avessero questa opportunità anche solo per qualche giorno a settimana, potrebbero ad esempio alternarsi nell’accompagnare e ritirare i figli dall’asilo e goderne/soffrirne entrambi.

Il vero rischio? Bambini sul portone della scuola, in attesa di genitori poco organizzati…  🙂

Nel nuovo anno, spunti di riflessione al femminile

Sull’orlo del nuovo anno, mi sento ispirata per lasciarvi alcuni spunti di riflessione sul mondo femminile, su invito dell’appena terminato 2012, con visioni di futuro possibile.

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Una quasi ovvia ispirazione viene dalla recentissima perdita di Rita Levi Montalcini, un lutto che riguarda il mondo intero, sia nell’universo scientifico, che civile.
Persone che sanno cambiare il mondo; e se si tratta di donne, non può che farmi piacere e rendermi orgogliosa del genere.

Non ho mai avuto problemi con i miei colleghi maschi, ne’ per il fatto di essere ebrea, ne’ perché donna“… una dichiarazione che non mi sorprende affatto, immaginando che chi avesse l’onore di starle accanto potesse soltanto constatare una esemplare personalità, una mente brillante, esperienze difficili che invece di abbattere affinano il carattere e il cuore, accanto all’umanità, alla voglia di fare, all’ottimismo; ed insieme quel poco di composta vanità e raffinatezza femminile, che mai stonano; caratteristiche che dovevano essere di stimolo a chiunque, al di sopra di ogni differenza di sesso o di religione.

Una vita piena, che saluto, ammirata.

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“Il futuro del pianeta dipende dalla possibilità di dare a tutte le donne l’accesso all’istruzione e alla leadership. È alle donne, infatti, che spetta il compito più arduo, ma più costruttivo, di inventare e gestire la pace.” (Rita Levi Montalcini)

E sulla strada dell’impegno civile che lei stessa percorreva per portare istruzione alle donne in paesi ove questo diritto è negato, una notizia del 20 Dicembre. Nulla a che fare con la fine del mondo prevista dai Maya, il molto preoccupante argomento che ha riempito intere pagine, fuori e dentro internet.

Nulla di così coinvolgente…ma altresì rilevante:

L’assemblea Generale dell’ONU ha adottato il Bando Universale delle mutilazioni genitali femminili, come violazione dei diritti umani fondamentali; si tratta di una decisa presa di posizione della comunità internazionale, contro la tendenza a considerare tali pratiche come espressione “giustificabile” di una specifica cultura. Una “spalla” legislativa a sostegno e aiuto di chi opera per il cambiamento di mentalità nelle società coinvolte.

Argomento fastidioso, ruvido, che stona nello standard di questo blog; ma volontariamente portato in luce, proprio perché lontano dalle nostre usuali “afflizioni”, visto che la strada da percorrere per dare opportunità culturali e personali alle donne senza voce, imbrigliate in legami culturali svilenti, è ancora lunga e ha bisogno di supporto.

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Venendo a noi e al nostro occidente in crisi (economica e non), ho trovato molto stimolante la riflessione dell’articolo “L’economia è donna” che, ritenendo un’improbabile chimera la crescita a tutti i costi, si sofferma su un’alternativa di “decrescita serena”, ponendo il fulcro della ripartenza proprio nel mondo femminile, capace di stimolare innovative forme di riorganizzazione socio-economica.

Con il suo “ruolo differenziabile [..] nella costruzione di un set di valori diverso per le nuove generazioni come solo nella quotidianità delle dinamiche familiari può essere gestito”, con la sua “propensione affettiva”, o ”naturale indole per la tutela e protezione della prole”, la donna sarebbe il soggetto sociale più affidabile e adatto ad una progettualità a lungo termine, ad una creatività economica che prediliga la qualità della vita, il consumo intelligente e il riciclo delle risorse, all’investimento su longevità, scolarizzazione, cultura.

Ciascuno avrà una propria opinione sull’origine di quella “propensione affettiva”: se le sia data dalla natura, o se sia respirata (e subita) nell’ambiente socio-economico in cui vive. Conta il fatto che, soprattutto nel nostro paese, molta parte dell’universo femminile si dedica alla famiglia, per scelta affettiva o per necessità economica.

Sapranno le donne occidentali moderne, potenzialmente liberate da restrittivi legami sociali del passato, tutte protese a riscattarsi trasformandosi in uomini in carriera, meno “affamate” di istruzione e leadership (data l’accessibilità più diffusa a tali obiettivi) rispetto ai paesi in via di sviluppo, farsi carico della femminile economicità per dare un impulso creativo alla ricostruzione dei nostri paesi corrotti e prosciugati dalla crisi?

Buon 2013 a uomini e donne.

Io, anziana startappara all’Internet Festival di Pisa

So’ soddisfazioni!  Un’idea nata tanto tempo fa, e adesso mi ritrovo ad essere un’”anziana startappara”!

Il discorso delle Startup che di questi tempi fa discutere ad ogni livello, dal più piccolo ed improvvisato programmatore, fino alle alte sfere della politica e dei palazzi, si traduce in serie di incontri e convegni, e trova i suoi spazi nelle manifestazioni di addetti del settore.

All‘Internet Festival, che siSandra un esempio concreto è svolto a Pisa (4-7 ottobre 2012), anche io e il mio piccolo (in senso affettivo!) brand Faxtomail®, eravamo presenti nelle parole di Raimondo Bruschi, CEO di Servizi Internet, portati ad esempio come Startup di successo, cioè di un’idea di prodotto/servizio che è diventata una vera e propria Azienda.

Un’idea non raggiunge il successo solo perché è buona, o solo perché trova il finanziatore, secondo i modelli della Silicon Valley, scarsamente applicabili nella nostra bella Italia.
Aiutare un’idea a diventare una Startup di successo significa supportarla in quelle specifiche competenze che la trasformano una vera azienda: un team di persone che si occupino di marketing,  produzione, comunicazione, al capitale, una struttura societaria adatta, una struttura organizzativa che consenta di svolgere quelle attività prosaiche ma necessarie, come fatturare, relazionarsi con i fornitori, avere rapporti con le banche, pagare ed essere pagati, capire e reagire  al  mercato in cui ci si muove.

“Startup non App” è il motto che sintetizza l’intervento e che diventa la tesi dell’e-book dal titolo “Adotta una Startup” , di cui Raimondo Bruschi è co-autore insieme a Francesco Zambelli.

Un modello di cui Faxtomail® è oggi concreto testimone, diventando un Marchio conosciuto ed affermato, grazie al felice connubio del lavoro di questa “ragazza di 30 anni”  affiancata e sostenuta dalle professionalità messe a disposizione dalla Servizi Internet Srl.