Io chiacchiero con gli sconosciuti

chiacchiere
Chiacchierare con gli sconosciuti mette di buon umore

Non pare anche voi che le persone abbiano bisogno di parlare con qualcuno? e che ogni scusa sia buona, anche chiamare il proprio fornitore per fare due chiacchiere! 🙂

Lei: Buongiorno, sono il cliente xyz

Io: Come posso aiutarla?

Lei: Allora, è successo che mio padre…bla…bla…bla…partire per…bla…bla… nonna doveva fare la spesa…bla…bla…bla…
[riassunto: ho bisogno di recuperare utente e password della casella email]

Io: va bene signora, mi dica qual è il suo indirizzo email così vediamo di recuperare i dati

Lei: …ecco, si, bene, meno male che mi aiuta, sa perché…bla…bla…bla…in giro con mamma bla…bla…bla…[risatina]…accendere il computer …bla…bla…bla…consideri l’età.

Io: si capisco, un bell’impiccio. Mi dica l’indirizzo email e vedrà che recuperiamo l’accesso

Lei: xxx@yyyy.zz

Io: Ok deve andare alla pagina webmail.yyyy.zz

Lei: Ecco si lo stavo già facendo sa? bla…bla…bla…Avevo trovato la pagina, solo che bla…bla…bla… uno poi non si ricorda. bla…bla…bla…
Ah, si, ecco, funziona. Che polla!


A me piacciono le chiacchiere con gli sconosciuti.

Ovvio che se rispondo ad un cliente ciarliero e simpatico, scatta l’attacca-bottoni che c’è in me.

Attacco bottone sull’autobus, in metro, quando sono in fila per pagare alla cassa; mi basta una piccola provocazione, uno sguardo, una battuta, e si incomincia a parlare con persone di ogni genere. E’ molto interessante e mi mette di buon umore.

Mi è capitato anche di ironizzare con un “Non ha molta voglia di parlare, vero?” riuscendo strappargli il sorriso; oppure accontentandomi di un secco “No, infatti”.

Pare che faccia bene parlare agli sconosciuti, instaurare conversazioni occasionali, perché aumenta l’empatia e la capacità di condivisione, e contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non disturba nemmeno i solitari, poiché allevia la noia del viaggio.


Purtroppo se stai facendo assistenza ai clienti, condividere esperienze di vita non è consentito. Questione di costi.

Mi sarebbe un sacco piaciuto sapere dove il padre stava andando al mare, e fare i complimenti per la nonna arzilla, che si fa portare in giro a fare la spesa perché deve scegliere lei i prodotti giusti per la sua tavola, e magari condividere qualche esperienza di padri di una certa età, che si danno da fare sui computer (sempre ammirati, per lo sforzo di una generazione non abituata allo strumento!).

Purtroppo non ho potuto dare gran soddisfazione alla simpatica interlocutrice, poiché le tempistiche della nostra conversazione sarebbero state incompatibili con un’assistenza clienti che deve prendersi carico di centinaia di richieste simili e rimanere professionale ed efficiente.


Quindi, niente: continuerò ad attaccare bottone sulla metro!


Quello che i commercialisti non dicono… #fatturaelettronica

Da pochi giorni è in essere la Fatturazione Elettronica, in un rincorrersi di racconti ed esperienze diverse, dubbi e domande, provocazioni e pubbliche accuse.

C’è chi già il primo giorno dell’anno ha inviato e ricevuto le fatture tramite il nuovo sistema, e chi ancora non ha proprio preso in carico la questione. Regna parecchia confusione sui vari aspetti di questo nuovo processo, sulle tempistiche, le modalità di gestione, il codice SDI e la PEC. E alcuni tra coloro che dovrebbero essere i più aggiornati e i più competenti in materia, spesso contribuiscono a lasciare ampi spazi di incertezza.

Mi trovavo giorni fa in un piccolo laboratorio artigianale, chiacchierando viene fuori il discorso della fatturazione elettronica, del fatto che

per fortuna se ne occupa il mio commercialista

e che

guardi che bravo: mi ha preparato un documento già pronto da inviare a tutti i fornitori, con il mio codice per la fatturazione elettronica

Bravo, ma non del tutto…

L’erogazione del servizio di fatturazione elettronica viene gestito attraverso una delle svariate piattaforme che i fornitori del servizio hanno messo a disposizione, attraverso il codice SDI. Il commercialista si fa intermediario nella gestione della contabilità per i propri clienti.

Pur facilitandolo con un documento già predisposto, l’intermediario ha riversato sul cliente (l’artigiano) l’onere di comunicare il codice SDI a ciascun fornitore.

Per quanto pochi possano essere i fornitori di un piccolo artigiano, varie sono le modalità di acquisizione del dato da parte del fornitore (alcuni fanno accedere ad un’area clienti – recupera utente e password -, altri fanno mandare un fax, altri l’email, ecc). Questo si traduce di fatto in un onere in termini di tempo e lavoro che forse l’artigiano avrebbe dedicato volentieri ad altro.

Tutto ciò non sapendo che basta una sola azione per rendere il codice SDI (o la PEC) l’indirizzo di destinazione predefinito e di default per la consegna di tutte le fatture elettroniche, senza necessità registrare il dato presso i vari fornitori.

Questa operazione consiste nella registrazione dell’indirizzo di destinazione per le fatture elettroniche, e si effettua sull’area privata (attiva per ogni azienda) di Agenzia delle Entrate. Una volta che si è effettuata questa registrazione, qualsiasi fattura elettronica destinata a quella Partita IVA, viene automaticamente consegnata alla destinazione indicata di default.

Il fornitore non ha nemmeno l’obbligo di inserire il codice di destinazione nelle fatture: può anche non inserire nulla o inserire una dato sbagliato, che la fattura viene consegnata correttamente.
Inoltre, se l’indirizzo di destinazione dovesse variare, non sarà necessario ricontattare tutti i fornitori, ma basterà aggiornare il dato sull’area privata di Agenzia delle Entrate. Una volta per tutti.

Quello che i commercialisti non dicono, è che, questa registrazione una tantum, potrebbero farla loro…

Esperienze nell’ #italiadigitale

Sia per necessità (cronica mancanza di tempo) sia per mia personale deviazione ed inclinazione, quando posso scelgo il mezzo digitale al cartaceo.

Il mio medico curante non sa cosa sia un’email, e quando devo condividere documenti o referti, è d’obbligo la prenotazione telefonica di un appuntamento (e la signorina risponde solo dalle 9 alle 11 il venerdi e negli altri giorni dalle 2 alle 4, però il mercoledi dalle 12 alle 1230!)
Ovviamente prima che mi venga in mente di telefonare nel giorno e all’ora giusta passano delle settimane; poi l’appuntamento dopo altri giorni di attesa, poi la consegna.
Diciamolo, un po’ mi innervosisco….

Quando c’è un sistema di prenotazione on line, mi ci fiondo. La mia prima volta.

regionelombardia2Visita ambulatoriale, atto primo.
Accedo al sito della Regione Lombardia per accedere alla mia cartella sanitaria: sezione ricette, prenota, zona brescia, presidio locale x, codice ricetta, ok, ok. Fatto.
Liscio come l’olio, prenotato visita in trenta secondi. Yeah!

Visita ambulatoriale, atto secondo; qualche giorno dopo.
Mi chiamano a casa, parlano con mio familiare minorenne, comunicando che la visita viene anticipata al giorno x, ore y.
1. strano, il numero di telefono indicato sul mio account, è il cellulare, perché mi chiamano a casa?
2. per un insolito e anomalo atto di lucidità, il familiare minorennne di cui sopra, mi comunica la variazione: ma il tasso di rischio è stato ELEVATISSIMO!
3. avrei potuto non gradire che un mio familiare sapesse della mia visita medica
4. non ricevo nessuna comunicazione via email o sms, per confermare la variazione di giorno/orario; controllando sempre sul mio account, la data dell’appuntamento è effettivamente variata al giorno x, ore y.

Visita ambulatoriale, atto terzo; il giorno fissato per la visita (anticipata).

Infermiera: “Ha pagato il ticket? Senza pagamento, non possiamo rilasciare il referto.”
Io: “No.” (non mi ero nemmeno posta il problema o guardato sul sito… d’altronde nessuna comunicazione che mi dicesse di pagare un ticket, dove, come e quanto, era pervenuta)
Infermiera: “Ok. Questo è il bollettino postale per il pagamento. Ma la posta adesso è chiusa, quindi deve andare dal tabaccaio proprio qui nelle vicinanze, prende per il parcheggio a destra, poi svolta a sinitra, 100 metri dopo la rotonda ancora a destra, la cunetta…e lo trova; mi raccomando torni entro le 5 perché poi io vado a casa, e dovrebbe tornare un altro giorno.”
Io: “Scusi posso effettuare il pagamento on line? La mia banca mi permette di pagare bollett…..
Infermiera: “Assolutamente no! Come facciamo poi?”
Io: “Ma veramente…”
Infermiera: “No signora, questo è il bollettino, vada a pagare e poi torni. Io ho bisogno di una ricevuta cartacea da allegare alla sua ricetta. Senza, non funziona!”

Ok vado.
Alla cunetta, un sms dalla Regione Lombardia mi informa che un nuovo documento è presente nella mia cartella on-line (il mio referto c’è già!)
Comunque pago, torno, consegno, ricevo il referto.
Fine


Cara infermiera, ci rivedremo presto, sto per prenotare una nuova visita on line.
Questa volta farò più attenzione alle modalità di pagamento del ticket.
Sappi che, se mi sarà permesso, lo farò dal cellulare. E che non intendo stampare alcunché.


Come per tutte le cose un po’ di esperienza e di uso, ci vuole. Ricordo la prima volta che, ragazzina, ho scritto le cartoline dal mare agli amici: un pasticcio. Anche per il digitale ci vuole pratica e si impara facendo esperienza. Io riproverò e imparerò, o semplicemente diventerò più veloce.

Qui sembra esserci un sistema che funziona davvero, efficiente e veloce, che si inceppa purtroppo su qualche incongruenza digital-cartacea, oppure su un’analogica sanitaria lombarda.

Sospendo il giudizio. A dopo il Sequel.

Machismo e mediazione: due facce di medaglie diverse

“Machismo”, quell’insieme di atteggiamenti, qualità e modi che concordano con l’assioma <maschio = forte e aggressivo>.

Nell’esperienza quotidiana il machismo si può manifestare con atteggiamenti di ostentata virilità, o nella cura eccessiva della propria prestanza fisica, in modi prepotenti, fino ad aggressivi, farciti di battute maschiliste, senza dimenticare i tipici atteggiamenti di bossian-leghista memoria di chi ce l’ha più duro!

Applicato all’ambiente lavorativo medio l’atteggiamento machista assume sfaccettature leggermente diverse, a volte poco aggressive o bellicose esteriormente, ma che espresse in modi pacati e bonari e brillanti, trasudano ugualmente di orgoglio mascolino, e desiderio di supremazia e potere.

Sembrerebbe, ma non sto parlando solo di uomini o di bruti! …ma di machismo, che si addice perfettamente anche a soggetti femmina,

a soggetti di medio alta formazione o estrazione sociale, e a soggetti apparentemente scevri da ogni inclinazione machista: la coscienza che far emergere atteggiamenti machisti non sarebbe ben accetto, fa sì che questi vengano repressi e nascosti nella maggior parte del tempo e delle occasioni.

Capita ogni giorno nel rapporto con il cliente che sorgano contrasti, emergano contestazioni, una lamentela, o semplicemente un atteggiamento del cliente più scortese o aggressivo del solito.

Il macho, ovviamente, ce l’ha più duro e “il cliente NON ha sempre ragione”

…quindi va preso di petto o negando con decisione, o ascoltandone distrattamente le motivazioni, ed opponendosi per piegarne la volontà e le richieste; per il macho la clausola contrattuale è un alleato potente, messo in mezzo come scudo a difesa della propria supremazia, ancor prima di qualsiasi tentativo di ascolto, condivisione, conciliazione e rapporto.

Inevitabilmente, quei momenti di carica o forte tensione emotiva (come ad esempio durante una discussione in ufficio con un collega, oppure durante una telefonata animata con un cliente) possono modificare la capacità di controllo, così che il macho trapeli, dando evidente (e fastidiosa, n.d.r.) mostra di sé.

Nulla da dire, in molti casi la questione viene risolta in breve (visto che non c’è possibilità di contradditorio), e spesso anche con successo, motivo di orgoglio del macho e rinforzo positivo della sua strategia. Il match è vinto, solleviamo la medaglia della vittoria!

Il macho vince la singola discussione, ma perde nel rapporto con l’antagonista; vince il contrasto e apparentemente batte l’avversario, ma non costruisce quei legami necessari che possono essere creati e rinforzati anche nel contrasto.

L’alternativa al macho c’è! La chiamo mediazione: instaurare rapporti e punti di contatto e di rinforzo, modalità a mio parere più costruttiva e appagante, e di successo.

Un’azienda infatti non vive superando scontri singoli, ma creando ed investendo in una strategia basata su una visione a lungo termine, deve saper organizzare e costruire passo per passo una duratura rete di rapporti, di fiducia e supporto reciproco, che diano sostegno alla sua capacità e immagine.

Anche in “modalità mediazione” il rapporto tra me e il cliente si struttura in un equilibrio nel quale io e lui siamo alla pari, vogliamo entrambi qualcosa, e dobbiamo trovare un punto d’incontro per essere soddisfatti entrambi. Anche per me “il cliente non ha sempre ragione”, ma in modo diverso rispetto al macho.

In questo senso, la “mediazione” di cui parlo necessita di alcuni modalità operative di base:

  • Ascolto

Ascoltare le necessità del cliente mi è utile. Perché alla fine io devo vendere, e devo sapere ciò che gli serve, ciò che desidera, come lo desidera.

Potrei accorgermi che è disposto a pagare di più anche solo per essere ascoltato 🙂 ; potrei scoprire che è disposto a cedere su certi aspetti, mentre non transige su altri (che io magari ritenevo erroneamente di scarso interesse o trascurabili); potrei scoprire che per lui ha valore un servizio/prodotto diverso da quello che io ho pensato, magari anche più vantaggioso per me.

Inoltre l’ascolto serve a farlo rilassare ed essere più gentile e accomodante, più disposto ad ascoltare le mie necessità o limiti.

  • Sincerità

Fondamentale in tutti i rapporti. Se racconto fandonie, millanto poteri inesistenti, dichiaro di essere perfetto, posso solo illudere e successivamente deludere senza possibilità di ricucire la ferita.

Anche raccontare qualche difetto o debolezza della mia azienda è un modo per rendere “umano” il rapporto, e far crescere la fiducia reciproca; se io ho dei difetti, lui potrebbe ammettere i suoi, punto di partenza per concordare un lavoro costruttivo comune.
(Ma come potrebbe un macho ammettere una debolezza?)

Ricordate, le leggi di Murphy sono sempre in agguato… per quanto sia nascosta una pecca, il cliente la scoprirà.

  • Collaborazione

Ascolto reciproco, conquista di fiducia, predispongono favorevolmente alla collaborazione: trovare spunti di lavoro comuni, capire gli obiettivi di ciascuna parte e come agire per raggiungerli.

L’altro non è più un “cliente” ma un “partner” che collabora con me: non arruffiamo le penne, non tiriamo fuori il petto, non facciamo appello al codicino del contratto, ma troviamo mezzi e strumenti per costruire insieme.

Ciò ha ancora più importanza per aziende che vivono nel digitale o che si affacciano al web come strumento di marketing o vendita. Perdere la faccia sul web ha un effetto più dirompente perché può raggiungere in un attimo un pubblico molto vasto e con effetti immediati.

Non è semplice, è faticoso, è lungo, ma dà i suoi frutti.

L’impresa che non c’è

Il circolo virtuoso del lavoro che dà soddisfazione solo in un’impresa che dà soddisfazione.

Ho assistito di recente ad un incontro pubblico sul “fare impresa” a Brescia, invitati alcuni relatori di diversa estrazione ai vertici di imprese/istituzioni pubbliche e private. Hanno parlato di Brescia come di una città in cui si vive bene, in cui la storia istituzionale ha investito parecchio nel dare infrastrutture e supporti per lo sviluppo della città, di cui recente fase la metropolitana.
Uno degli interventi della serata ha dato il definitivo slancio ad alcune riflessioni che da tempo in me stavano cercando l'”uscita”.

Il relatore, presidente di una grande azienda italiane, bresciana, ha relazionato sull’attività dell’azienda che conduce, dandone un’ottima immagine, come attenta ed impegnata alle esigenze sia dell’utente, cui necessariamente bisogna dare servizi di alto livello, sia ai soci con progetti che si prevede portino utili e soddisfazione, con uno sguardo al futuro, con una dirigenza che “alza lo sguardo dalla propria scrivania” per guardare lontano al proprio futuro e strutturare le proprie risorse al meglio per raggiungere quel progetto immaginato e desiderato. Bravo. Un’ottimo spot, senz’altro.

Ma anche un’ottima idea d’impresa, quella in cui un insieme complesso ed articolato, come un corpo, che nel suo insieme funziona, si muove, raggiunge obiettivi, fisici e mentali, cresce e si rende forte per l’azione.
Con una testa che organizza e progetta e inventa, ama e si ama, e si prende cura di se’.
In un corpo così le cellule lavorano in maniera equilibrata, producono le energie che servono al raggiungimento di quegli obiettivi, con il minimo spreco possibile, e con soddisfazione per tutti.

Mentre l’imprenditore tratteggiava la bella immagine, io mi chiedevo se in quel colosso di impresa, le singole cellule che lavorano sulle loro piccole scrivanie tutti i giorni, siano così compartecipi del successo del loro contenitore, vicine e felici e soddifatte del proprio quotidiano affanno.

Perché per tutti arriva un momento in cui sorge la fatidica domanda: perché vado a lavorare? Non credo che la risposta sia così difficile, per molti. Chi per la pagnotta, chi per un senso di orgoglio ed importanza, chi per mantenere una moglie esosa, chi ha come obiettivo un lungo viaggio intorno al mondo, chi aspira a posizioni ambiziose. Io molto banalmente, ho la fortuna di lavorare volentieri perché mi da soddisfazione e mi sento utile nel farlo.

O forse non è fortuna, ma esplicita volontà?

Chiunque si impegna e lavora di più e meglio se ha un ritorno in soddisfazione, se le nostre aspirazioni sono più alte e diverse dalla mera, stantìa, noiosa – pagnotta –
Un po’ come per il matrimonio, che diventa una minestra riscaldata, se non c’è la volontà di farlo funzionare e rendere interessante e divertente e sempre nuovo.

Perchè io VOGLIO che il mio lavoro sia fonte di soddisfazione, VOGLIO che la mia idea di impresa si nutra di quella fantasmagorica illusione in cui ogni cellula collabora e condivide lo stesso destino con la testa, e che il lavoro dell’una sia condiviso e sia utile al lavoro dell’altra, e che la soddisfazione dell’una sia condivisa e diventi soddisfazione dell’altra.

Solo così posso ottenerla, quell’impresa che non c’è!

Così ho risposto anche un po’ a quell’altra domanda, semplice ma ben più difficile, che pone Barry Schwartz al termine del suo intervento: “What kind of human nature do you want to help design?”